Corpo di donna, cervello di bambina, Bella – la protagonista di «Povere creature!» (2023) – è il risultato del macabro esperimento di un chirurgo. Ma la vita ha in serbo per questo essere molto più di una reclusione tra reperti biologici e cavie…
Una giovane donna con la mente di bambina impara a vivere nel mondo. Cresce in eleganza, bellezza, femminilità. Conosce ricchezza e povertà. Sperimenta disprezzo, esclusione ma anche, al contrario, ingenua eccitazione, curiosità e giocosa libertà di muoversi. Vive amarezza e gaudio, dolore e fierezza. Quando verrà il momento, si difenderà dalla violenza maschile e dal sentimentalismo evasivo delle donne pavide. Reggerà poi l’urto della tragica verità circa la sua nascita. Lei, sposata con un militare, era rimasta incinta senza essere amata e aveva tentato il suicidio. Chi la raccolse dal gelido fiume la portò da un chirurgo geniale e folle, cinico e a sua volta abusato dal padre, quando era bambino. E il chirurgo, dal tremendo nome Godwin («Dio vince») e dal volto solcato da vistose cicatrici, trapiantò il cervello del feto nel corpo della mamma, creando un essere misto, cui diede il nome di Bella Baxter, e che rinchiuse nel proprio laboratorio fortezza, tra reperti biologici, infermieri taciturni e cavie mostruose.
Il febbrile immaginario del racconto inscrive ossessivamente le iniziazioni sessuali di Bella in una trama di formazione al femminile. «Donne non si nasce ma si diventa» scriveva Simone de Beauvoir. E Virginia Woolf dedicò il romanzo Orlando. Una biografia (1928) a un poeta che, nei secoli, muta d’aspetto e si fa donna, da uomo che era. Nel film Povere creature! (Poor things!, USA/Irlanda/GB 2023) di Yorgos Lanthimos il fattore evolutivo risiede nel grembo: è da un grembo rigonfio che una donna bistrattata nasce una seconda volta grazie alla mente del figlio «mai nato», grazie alla potenza di un desiderio che non tollera le etichette dei benpensanti, i consigli ammiccanti degli influencer, lo snobismo dei guardoni. Bella trasgredisce il vomitevole buon gusto che nasconde i vizi in case chiuse ed esibisce in pubblico un bon ton padronale, sentenzioso, emarginante.
È un film discontinuo e controverso quello di Lanthimos, e ha toccato nervi culturali scoperti. La trama è troppo lunga, pecca d’inverosimiglianza e, all’opposto, di sviluppi scontati. La cifra del grottesco è giocata in modo così abbondante da diventare manierata e stucchevole. Gli effetti speciali si intrecciano a colori accecanti talora senza validi motivi narrativi e gli attori (bravissima Emma Stone nei panni di Bella) sono ridotti qualche volta a caricature. È un film citazionista. Si allude al Frankenstein di Mary Shelley (1797-1851), alle icone horror di Hieronymus Bosch (1453-1516), che qui però sono spogliate della loro atmosfera religiosa. Immagini trans-umane alla Cronenberg e claustrofobiche alla Lynch si mescolano a un vitalismo euforico e pleonastico. Il dissonante commento sonoro (in sé azzeccato) si appesantisce e il politicamente corretto cade nel dualismo: uomini crudeli e donne vittime; orchi condannati e ricconi beffati.
Attorno a Bella muggisce, come una bestia insaziabile, una medicina immorale e sessista, contigua all’anatomia sadica e allo sfruttamento animale. Un’etica anaffettiva infantilizza i sacerdoti di una tecnologia schiavizzante, ma i sentimenti si prenderanno la loro giusta rivincita. Sono solo accennate alcune questioni filosofiche: John Locke (1632-1704) aveva scritto di un principe immaginario, la cui memoria venne trapiantata nel corpo di un calzolaio, e si era chiesto che cosa ne sarebbe risultato. Un principe che si ricorda di sé, pur in nuove fattezze? O il calzolaio che gli altri continuano a vedere in lui? Locke decise in favore della prima soluzione. Ma si domandò che effetto avrebbero avuto la voce, i gesti, il carattere del calzolaio sull’autorappresentazione del principe.
Il cinema, in fondo, non è che un laboratorio sperimentale, il quale crea vita attraverso scintille elettriche. Il cinema è una macchina per trapianti di pensieri dal regista (con la sua troupe) al pubblico, che vorrebbe maturare anch’esso come Bella, ma può giocare solo la carta dell’immaginazione, mentre teme di finire come un mostro intrappolato sulla poltrona, sedotto dalle false ombre di una caverna onirica.