Un centinaio di foto dell’archivio del grande maestro romano raccontano, dietro le quinte, l’opera di registi, attori e attrici del cinema, dagli anni ‘60 agli anni ’90 del secolo scorso.
Che cosa ritrae un fotografo di scena, figura che si è imposta a partire dagli anni Venti del secolo scorso? È solo testimone del backstage di un film oppure dà vita a uno shooting parallelo, quasi una storia metafisica che si nutre della rappresentazione visiva, mimica, iperrealistica degli attori sul set nei momenti di pausa della lavorazione, in quelli conviviali, mondani o semplicemente in quelli più intimi e privati? E, poi, quel che ne deriva è davvero un altro «film» oppure, più semplicemente, quegli scatti, apparentemente statici, ricalcano la disarmante essenza dei protagonisti di una pellicola «condannati» invariabilmente a interpretare sempre un «altro da sé» sulla scena? Sul filo di questa dicotomia, a un tempo estetica e prossemica, storici dell’arte e della fotografia, critici teatrali e cinematografici hanno esplorato a lungo la vera natura della recitazione, e la linea di demarcazione che separa il personaggio incarnato da un attore o da un’attrice dal suo rispettivo interprete, così come separa quest’ultimo dal pubblico per il quale viene costruita la verosimiglianza di una finzione scenica.
In questo limes, lungo questo sentiero di confine, il fotografo Mimmo (al secolo Domenico) Cattarinich ha colto gli attimi fuggenti della vita artistica dei protagonisti di alcuni film che hanno segnato la storia del cinema, ma anche dei loro registi e autori, restituendoci, con i suoi inimitabili scatti, una dimensione narrativa parallela, esotica e onirica, talvolta addirittura più emozionante e intrigante dei film stessi, come ben illustra la mostra antologica «BACKSTAGE. Mimmo Cattarinich e la magia del fotografo di scena» curata da Dominique Lora, e allestita fino al 16 giugno al Museo Villa Bassi Rathgeb di Abano Terme (Padova). La mostra propone un centinaio di foto selezionate dall’archivio dell’Associazione culturale Mimmo Cattarinich di Roma che ricostruiscono la storia del cinema italiano e internazionale dagli anni ’60 agli anni ’90 del secolo scorso, con i volti di grandi nomi come Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, Franco Zeffirelli, Anthony Quinn, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Catherine Deneuve, Roberto Benigni, Claudia Cardinale, Maria Callas, Giuseppe Tornatore, Antonio Banderas, Javier Bardem, Penelope Cruz e molti altri.
L’eredità del cinema
Il cinema è figlio della fotografia. Ne ha ereditato e, a volte, si è appropriato di stili, estetiche, tecniche narrative e perfino del lessico. E, dunque, pare senza soluzione di continuità l’entrata in scena di chi immortala momenti irripetibili che sfuggono allo stesso scorrere dell’immagine filmata che, lo ricordiamo, è fatta di singoli fotogrammi. La fotografia di scena – quella di Cattarinich in particolare
– riflette sullo sguardo, sull’azione dei protagonisti. Per loro parlano le sfumature, i dettagli, gli ammiccamenti, la mimica facciale, la postura studiata o quella involontaria. L’obiettivo diventa spesso uno sguardo impietoso sulla vulnerabilità degli artisti fuori dallo star system, che poi è la stessa di ogni essere umano. Uno sguardo forse un po’ cinico che talvolta si rivela, però, come il critico più severo e realista di una messinscena. In altri termini, può essere considerato la quintessenza del rapporto tra cinema e arte.
E qui entra in campo – non solo in quello che tecnicamente viene definito come lo spazio inquadrato da una macchina da presa – l’occhio dello spettatore, naturalmente sovrapponibile a quello del fotografo di scena, che può finalmente cogliere «il gesto celato, l’emozione rubata, ritraendo, per immagini, istanti i vita dietro le quinte». Mimmo Cattarinich indugia coraggiosamente sull’interiorità dei protagonisti di un set. Non si accontenta di coglierne il momento della recitazione o della pausa. Va oltre. Ne esalta il talento, ne sviscera le contraddizioni, ne mette a nudo le emozioni spingendoci a osservare, con il suo stesso occhio, le persone non per come agiscono sul set o per la notorietà che li circonda, quanto piuttosto per la loro umanissima fragilità «rivelandone la realtà presente e le loro aspirazioni».
Fuori dal set
Una parte della mostra di Abano Terme si intitola «Inedita Medea». Qui viene presentata una raccolta di foto scattate durante le riprese del film Medea (1969) di Pier Paolo Pasolini. Lo sguardo irreprensibile di Cattarinich cattura in modo assai originale «il rapporto fuori scena tra l’eclettico intellettuale bolognese-friulano e il soprano Maria Callas, rivelando un dialogo intimo e in costante movimento tra loro e il fotografo stesso». Occorre ricordare che Mimmo Cattarinich non si spese solo per il cinema. Nato nel 1937 a Roma da madre triestina e padre palermitano di origini croate, la sua carriera di fotografo prese le mosse a metà degli anni Cinquanta negli studi cinematografici De Laurentiis.
«All’età di 17 anni interruppe gli studi di ragioneria per seguire il mondo del cinema, e iniziò a lavorare come assistente di camera oscura e, successivamente, come fotografo di scena con registi come Mario Bava, Alessandro Blasetti, Mauro Bolognini, Dino Risi, Luciano Salce, Carlo Lizzani, Giuseppe Patroni Griffi», per arrivare poi sui set di molti altri, e pubblicando le sue foto su prestigiose riviste nazionali e internazionali, alternando le stelle del cinema ai personaggi della politica e ai campioni dello sport. Ma se il cinema è rimasto il suo primo e più fedele amore, tra la metà e la fine degli anni Novanta Cattarinich si è dedicato al giornalismo e alla stesura di sceneggiature (rimaste perlopiù incompiute), alla pubblicità e alla moda, lavorando su progetti che lo hanno visto viaggiare in Italia e soprattutto all’estero: dagli Stati Uniti alla Russia, fino alla sua amata Africa, e lo hanno consacrato definitivamente, a livello internazionale, quale indiscusso poeta della luce e maestro della fotografia.